Immaginazioni, futuro, tecnologia
Pensieri sparsi sul tema della AI applicata al giornalismo. E poi, dove siamo rimasti con il podcast e quali novità per le prossime settimane. E una anticipazione importante sulla prossima intervista.
Da quando la tecnologia ha iniziato ad entrare nelle nostre vite non sono mai mancate due cose: l'entusiasmo per ciò che si immagina stia per arrivare e le previsioni apocalittiche. Che a pensarci bene non sono altro due facce della stessa medaglia: i desideri e le paure che proiettiamo sul nostro futuro. Oggi il terreno più fertile per queste immaginazioni è l'intelligenza artificiale. Ieri era il metaverso. L’altro ieri la blockchain. Centocinquanta anni fa, l’automobile. E chissà cinquemila anni fa, a cosa pensavano i sumeri impegnati a fabbricare asce di rame colando il metallo dentro stampi di argilla.
L’intelligenza artificiale, dicevamo. Anche se è difficile indovinare come l'IA cambierà il nostro prossimo futuro, è già piuttosto semplice intuire quel che stiamo combinando noi con lei. Mettiamola così: se questo strumento può essere la bacchetta di sambuco che dà nuovi poteri alle nostre tastiere, sta solo a noi decidere se giocare dalla parte dei Serpeverde o quella dei Grifondoro.
Nel bene o nel male, l’IA applicata al giornalismo
Nell’ultima edizione di Charlie (la newsletter del Post sul dannato futuro dei giornali) ho trovato molto interessante il commento di Joshua Benton, direttore del Nieman Journalism Lab dell'Università di Harvard a proposito degli allarmi e delle diffidenze sull'uso delle intelligenze artificiali nei giornali.
Benton ha provato a far scrivere a ChatGPT un articolo di cronaca, con le stesse indicazioni che dà ai suoi studenti in un corso universitario, e il risultato ha ottenuto questo suo giudizio: "Quello prodotto da ChatGPT sarebbe stato un articolo piuttosto mediocre ma, a essere sincero, ne ho letti di peggio scritti da umani".
Che in sostanza è la stessa conclusione abbozzata qui dopo un divertente tentativo di intervistarla, questa AI. :-)
E poi c’è Google, con Bard. Si tratta un grande modello linguistico addestrato in modo simile a ChatGPT su un enorme set di dati di testo e codice. Proprio come il suo competitor più popolare, Bard è già in grado di svolgere attività e usare le sue conoscenze per rispondere a domande in modo completo e grammaticalmente corretto fornendo risposte adeguate anche a domande aperte, impegnative o bizzarre, così come può fare riassunti, tradurre (da e verso) ogni lingua, generare ogni tipo di testo creativo, come poesie, codici di programmazione, script, testi per canzoni, e-mail, lettere, ecc.
ChatGPT è migliore nella generazione di formati di testo creativi, mentre Bard è migliore nella comprensione e nella risposta alle domande. Inoltre, Bard è integrato con il motore di ricerca di Google, il che gli consente di accedere ed elaborare informazioni dal mondo reale in tempo reale. Ciò significa che Bard può fornire risposte più aggiornate e pertinenti alle tue domande rispetto a ChatGPT.
Nota importante: quest’ultimo paragrafo è stato scritto direttamente da Bard, a cui ho chiesto in quali aspetti si differenzia da ChatGPT. Onesto, direi.
Ma Google ha sviluppato anche Genesis, l’intelligenza artificiale pensata per il settore dell’informazione con il fine di aiutare i giornalisti a svolgere meglio il proprio lavoro. Genesis può già fare cose rilevanti come raccogliere e analizzare informazioni da una varietà di fonti (notizie, social media e siti web in generale), identificare i trend e i temi principali nelle notizie, generare contenuti creativi, fare traduzioni affidabili.
Sebbene sia “ancora in fase di sviluppo” (cosa tipicamente Google: per dire, la prima versione di Gmail è stata in beta più di 8 anni…) ha già il potenziale per rivoluzionare il modo in cui i noi giornalisti lavoriamo. Può aiutarci a essere più veloci, a verificare meglio le informazioni, probabilmente anche ad essere più precisi. Giudicheremo quando arriverà. Ma anche in questo caso occorre un approccio laico: si tratta di uno strumento potenzialmente utilissimo (questo, così come tutte le altre AI) e non stiamo parlando di Skynet. Tutte le narrazioni sui rischi di apocalisse causati dal domino delle macchine sull’uomo li lasciamo ad Hollywood ancora per un po’.
Poi c’è Zuckenberg con Meta, che sta sviluppando LLaMa. Di questo ho onestamente letto pochissimo ma, tra le indiscrezioni di prima mano rilasciate ormai qualche mese fa, guardo con molta curiosità alle integrazioni di WhatsApp e di Instagram.
E infine c’è (di nuovo) Elon Musk, con xAI. Si, esatto, si chiama proprio xAI ed è un ulteriore passo verso la X-izzazione del mondo. Musk, come noto, era già coinvolto in OpenAI prima dell'impressionante crescita di notorietà della startup grazie alle versioni pubbliche di DALL-E e di ChatGPT. Poi le cose hanno iniziato a stargli strette ed eccolo qui con il primo progetto interamente suo per la creazione di un modello di linguaggio che cercherà di competere con GPT, Bard e tutte le altre intelligenze artificiali conversazionali presenti sul mercato.
Tra tutte le cose che gli riescono bene, ce n’è una in cui io credo abbia un talento fuori misura: quella di parlare in modo criptico per creare hype attorno ogni cosa che tocca. E così della nuova startup abbiamo appreso il suo desiderio di creare qualcosa che ha iniziato a definire TruthGPT, una sorta di chatbot la cui caratteristica distintiva sarebbe quella di fornire all’utente risposte sempre veritiere e affidabili (in quanto basate su fonti autorevoli e verificate). Tra il dire e il fare, lo sappiamo. Ma al netto del facile sarcasmo, è qualcosa a cui dovremmo guardare con molta attenzione perché - se manterrà la sua promessa - andrebbe a risolvere il più grande dei limiti delle AI attuali (compresa anche la versione più evoluta di ChatGPT con GPT-4), ovvero l’affidabilità delle informazioni contenute nelle risposte.
Fin qui tutto bene, ma non è finita: Musk ha rivelato che in futuro vorrebbe che xAI potesse comprendere la natura dell'universo. Eccolo qua, l’hype.
Vedremo se Musk riuscirà a far diventare xAI l’oracolo di cui il mondo ha bisogno. Ed eccolo qua, il facile sarcasmo.
A proposito di… Simon Owens
Mentre questa newsletter già nelle sue premesse, contraddicendo ogni buona prassi, prometteva invii sporadici ed irregolari, con il podcast legato a questo progetto ho sempre cercato di non lasciare passare troppo tempo tra un intervista e l’altra. Ma tra una cosa e l’altra, c’è sempre la vita in mezzo che scorre e spesso questo comporta rimandare e riprogrammare attività legate ad A proposito di a cui mai avrei voluto rinunciare.
Questo per dire che: sebbene le pubblicazioni siano rimaste in pausa negli ultimi mesi, non significa che tutte le attività “dietro le quinte” si siano fermate. Nuove interviste sono infatti in arrivo e ci sono anche diverse novità, dagli orizzonti internazionali, che renderanno più prezioso questo progetto. O, almeno, questo è il mio obiettivo!
La prima di queste sarà la sintesi di una bella chiacchierata, nello stesso stile del podcast, con
che pubblicherò qui, nella prossima newsletter che riceverete la prossima settimana.Simon Owens è un veterano del giornalismo e del marketing. Ha iniziato la sua carriera come reporter di un giornale della Virginia, poi si è trasferito a Washington DC per lavorare in un'agenzia di marketing. Nel corso degli anni, ha lavorato con decine di grandi aziende, tra cui Google, Comcast, Forbes, ESPN, C-SPAN, Nike curando e sviluppando la loro presenza sui social media. Ha scritto per The Atlantic, New York Magazine, Politico, Scientific American, Forbes, Harvard's Nieman Lab, The Next Web e un sacco di altre cose.
Oggi, Simon cura una seguitissima newsletter (se non la conoscete fatevi un favore: iscrivetevi!) che tratta dell’industria del media, dalla creator economy ai media più tradizionali... e tutto quel che ci sta in mezzo.
Iscriviti alla newsletter | Le puntate precedenti | Il podcast su Spotify