A proposito di... Simon Owens
Con questa intervista si apre un nuovo appuntamento periodico (e irregolare, as usual!) con interviste dal respiro internazionale ad affiancare le puntate del podcast
Detta in due parole: il podcast in forma scritta. Ecco, sinteticamente, di cosa si tratta. E come sempre mi piace partire col botto.
Infatti, come avevo anticipato, il protagonista di questa prima intervista internazionale è
che, se posso permettermi un audace paragone con stimate persone dentro la mia bolla, è un po’ come mettere e dentro un frullatore, shakerare bene e assumere in dosi settimanali attraverso la newsletter che porta il suo nome.Simon Owens è un veterano del giornalismo e del marketing. Ha iniziato la sua carriera come reporter di un giornale della Virginia, poi si è trasferito a Washington DC per lavorare in un'agenzia di marketing. Nel corso degli anni, ha lavorato con decine di grandi aziende, tra cui Google, Comcast, Forbes, ESPN, C-SPAN, Nike curando e sviluppando la loro presenza sui social media. Ha scritto per The Atlantic, New York Magazine, Politico, Scientific American, Forbes, Harvard's Nieman Lab, The Next Web e un sacco di altre cose.
Non vedevo l’ora di fare questa chiacchierata con lui ed ora vi propongo qui una bella sintesi in pieno stile A proposito di.
Spero vi piaccia tanto quanto è piaciuta a me… fatemelo sapere!
Ciao Simon, prima di tutto grazie per avere accettato il mio invito. La prima domanda è sempre la più banale ma mi è preziosa per rompere il ghiaccio: come sei entrato nel mondo del giornalismo e dei media? Come è iniziato tutto?
Direi che è stato un insieme di cose. Ho sempre voluto essere uno scrittore e ho iniziato a inviare racconti brevi a quelle che, quando ero al liceo, venivano chiamate webzine. Nel 2003, durante il mio primo anno di college, ho scoperto i blog e ho cominciato a sperimentare in quel campo. All'inizio usavo il mio blog solo per mettermi in contatto con altri scrittori di narrativa e per documentare i miei tentativi di essere pubblicato, poi sono stato risucchiato dalla blogosfera dove mi sono appassionato a tutte le sue potenzialità giornalistiche.
Dopo la laurea nel 2006 non avevo assolutamente alcuna abilità professionale, ma fortunatamente questo succedeva prima della recessione in un momento in cui i giornali assumevano ancora reporter alle prime esperienze. Sono infatti riuscito a ottenere un lavoro in un piccolo giornale settimanale ed è lì che ho cominciato a imparare come si fa il vero giornalismo. Una esperienza che mi ha consentito di applicare, da subito, al mio blog dell'epoca le nuove competenze che stavo maturando e questo ha innescato una lunga serie di eventi che mi ha portato esattamente dove sono oggi: a lavorare a tempo pieno sulla mia newsletter e sul mio podcast.
Puoi raccontarci un po' di te e del tuo percorso, dall’essere un reporter di una testata locale a diventare un giornalista di fama internazionale e un riconosciuto esperto di media digitali? Quali sono stati alcuni traguardi significativi lungo questo percorso?
Fondamentalmente ho iniziato a utilizzare le competenze acquisite come giornalista per scrivere articoli e approfondimenti sull'industria dei media digitali. Nel 2008 questo mi ha portato a diventare redattore associato presso una pubblicazione online di PBS chiamata MediaShift e mi ha consentito, inoltre, di trasferirmi a Washington D.C. per un ruolo presso un'agenzia di marketing digitale. Da quel momento in poi mi sono sempre più immerso nel mondo dei media digitali.
Nel 2014 ho lasciato il lavoro da dipendente per intraprendere la mia strada come professionista autonomo. Mi sostenevo con le consulenze di content marketing e, al tempo stesso, investivo ogni momento libero sul mio progetto giornalistico personale.
Così, un passo dopo l’altro, ho potuto costruire una piccola e fedele comunità tra operatori e appassionali del settore. Nel 2020 ho quindi deciso di trasformare questo mio progetto nella mia attività principale, in modo da potermi concentrare a tempo pieno sulla pubblicazione di contenuti con il mio nome.
Con esperienza sia nel giornalismo che nel marketing, come riesci a bilanciare questi due mondi mantenendo l'integrità giornalistica? Il confine tra questi due campi è molto sottile e può essere molto pericoloso oltrepassarlo! So che hai capito cosa intendo...
In realtà bisogna agire con intuito e cercare di evitare conflitti di interesse. Penso che la maggior parte dei content creators indipendenti, come me, non abbiano a che fare con il "firewall cinese" a cui sono sottoposti i reporter delle grandi aziende mediatiche. Tutti coloro che non riusciranno ad essere completamente sostenuti dai propri abbonati avranno sempre una componente commerciale con cui fare i conti: saranno loro, quindi, a doversi occupare della sostenibilità del progetto attraverso la vendita dei contenuti prodotti.
(ndr: la metafora del "firewall cinese" si riferisce al fatto che i media cinesi sono soggetti a una forte censura da parte del governo. E così, al contrario dei reporter dei grandi media outlets che “non possono” pubblicare notizie che l’editore non gradisce siano pubblicate, i creators indipendenti non sono soggetti a controlli e limitazioni (o auto-limitazioni preventive) di questo tipo sui contenuti prodotti. A maggior ragione se dispongono di una community di abbonati paganti a sostenere i loro progetti, garantendo così una totale indipendenza).
Spesso mi capita di pensare che l’informazione, specialmente quella più tradizionale, sulle emergenze o sui grandi temi divisivi perda spesso l’occasione di spiegare bene le cose. Non sempre, ci sono eccellenti eccezioni: ma è una cosa che qui capita spesso. Tra i temi principali cito solo la pandemia da Covid-19 e la crisi climatica, ma penso anche a questioni attuali e politicamente divisive come l'immigrazione, l'aborto, i diritti LGBTQ+, le disuguaglianze razziali, eccetera. I giornalisti stanno diventando sempre più “divulgatori del reale” con l’importante compito di (cercare di) chiarire argomenti estremamente complessi e controversi. Condividi questo punto di vista?
Certamente lo condivido. La “piramide rovesciata” servirà sempre al suo scopo, ma l'ultimo decennio è stato fantastico per il giornalismo esplicativo, perché i reporter non sono più limitati dalle "colonne" che ingabbiano i contenuti sulla carta stampata. Sono molto ottimista sullo stato di salute del giornalismo, penso che questo sia il momento più entusiasmante della nostra storia per condividere e creare contenuti. Sono costantemente stupito dalle persone intelligenti che incontro quotidianamente e che hanno creato imprese mediatiche di nicchia partendo da zero.
(ndr: la piramide rovesciata è una classica forma di scrittura giornalistica in cui le informazioni più importanti, tipicamente le 5W, vengono presentate all'inizio dell'articolo, seguite man mano che si procede nella lettura da informazioni di contesto, da utili dettagli e infine da ulteriori informazioni sempre di pubblico interesse ma meno rilevanti ai fini della comprensione del contenuto)
L’industria dei media ha affrontato numerose sfide negli ultimi anni, come i problemi legati alla disinformazione e alla perdita di fiducia da parte dei lettori. Come affronti queste sfide e come riesci salvaguardare la tua credibilità e l’affidabilità dei contenuti che proponi?
Penso che la principale responsabilità di ogni giornalista sia quella di verificare qualsiasi informazione prima di trasmetterla al proprio pubblico. Se c’è un vantaggio nell’aver lavorato sulla stessa materia per un lungo periodo è quello di avere sviluppato un forte radar anti-bufala...
Indipendentemente dalle loro dimensioni (piccole o grandi che siano) quale pensi sia il bisogno più urgente delle testate e, più in generale, dei grandi media tradizionali?
Penso che molte grandi testate abbiano carenze nella gestione del talento. Viviamo in un'era in cui i giornalisti possono aggregare il proprio pubblico e portarlo con sé qualora dovessero cambiare lavoro. Non a caso, molti dei nomi più importanti del giornalismo americano si sono resi conto di poter guadagnare molto di più lanciando i propri canali su piattaforme come Substack o YouTube. Per questo le grandi testate tradizionali devono trovare modi migliori per compensare gli sforzi e premiare il lavoro dei giornalisti di talento capaci, attraverso la propria community, di far loro incrementare pubblico e il fatturato.
Quali ritieni siano i migliori modelli di business oggi?
Ho sempre sostenuto la diversificazione delle entrate. Non esiste un unico “miglior modello” di business: se prendiamo in considerazione le migliori imprese dell’industria dei media vediamo nei loro modelli una combinazione di abbonamenti, sponsorizzazioni, marketing di affiliazione e eventi dal vivo.
Tempo fa, nella tua newsletter, hai accennato al ritorno delle testate online a fare maggior affidamento sulle entrate pubblicitarie rispetto agli abbonamenti. Questo segna una contro-tendenza rispetto agli anni passati in cui l'attenzione era incentrata sulla creazione di una comunità di lettori paganti. A distanza di un anno, qual è la tua opinione al riguardo?
Tra il momento in cui ho scritto quel pezzo e adesso, siamo sicuramente entrati in una nuova “recessione pubblicitaria” su cui si sono esaurite molte risorse. Molte aziende che stavano diventando più aggressive nell’incrementare le entrate provenienti dalla pubblicità sono andate a sbattere contro un muro e sono ritornate ad investire sulla vendita degli abbonamenti. Oggi, tuttavia, torniamo a vedere qualche segno positivo che ci fa pensare che il mercato pubblicitario si stia riscaldando nuovamente. Incrociamo le dita!
In generale, pensi che i paywall siano uno strumento utile per migliorare l'accuratezza e la qualità delle informazioni, garantendo una indipendenza editoriale completa dagli inserzionisti, o li vedi più come un potenziale pericolo che limita l'accesso all’informazione di qualità solo a chi può permetterselo?
Penso che i paywall creino grandi incentivi alla produzione di un giornalismo di alta qualità. Non sono tra quelli che si preoccupano che i paywall limitino l'accesso all’informazione di qualità... anzi, i paywall devono esistere proprio per pagare quel giornalismo qualitativamente elevato di cui abbiamo bisogno. L'intero ecosistema mediatico non può prosperare solo sulla pubblicità.
Qual è il modo migliore per avviare un nuovo progetto editoriale/giornalistico da zero? Come si fa a trovare il proprio pubblico?
Penso che la costanza sia il migliore vantaggio competitivo, poiché molte nuove testate si arrendono nel giro di poche settimane o pochi mesi dal lancio. Ma è soltanto dopo esserti fatto conoscere, settimana dopo settimana, anno dopo anno, che puoi riuscire ad aggregare un pubblico fedele e ad avere l'opportunità di capire cosa cerca davvero, da te, quel pubblico. Ecco il mio miglior consiglio per una nuova realtà editoriale: impostare un programma di pubblicazione settimanale e andare avanti a testa bassa, attenendosi solo ad esso.
Su piattaforme come Twitch, ma anche come TikTok, Instagram e il sempre amato YouTube, ci sono creators con grandi pubblici e che vantano un elevato numero di iscritti. Molti di loro producono contenuti di alta qualità (c’è chi fonde l'informazione con l'intrattenimento, chi propone narrazioni più sobrie, chi opera in modo collettivo e chi come one-man-band) raggiungendo numeri significativi. Secondo te, quale ruolo possono giocare oggi questi nuovi hub informativi che attraggono le generazioni più giovani e sfuggono ancora allo sguardo dei media più tradizionali?
Penso che la prossima generazione delle grandi media company nascerà proprio dalla creator economy. Stiamo già vedendo canali YouTube inizialmente fondati e sviluppati da un singolo creator espandersi in operazioni molto più grandi. Guarda cosa sta facendo Johnny Harris per costruire una redazione del XXI secolo.
Sembra che Meta si sia persa nella sua metaverso, Twitter... voglio dire X.... voglio dire... non sono sicuro di come chiamarla ora, sia in una situazione a dir poco confusa. Instagram e TikTok si copiano costantemente a vicenda e oggi sembrano due specchi che si riflettono a vicenda. Tu come immagini l'evoluzione di queste grandi piattaforme nei prossimi anni?
Penso che la politica aggressiva di revenue share di YouTube abbia innescato un effetto domino e queste aziende diventeranno sempre più brave a condividere le entrate con i creatori. Le piattaforme social di maggior successo saranno quelle che faranno il miglior lavoro nell'aiutare i content creators a monetizzare.
Qual è il tuo punto di vista sulle applicazioni concrete dell'intelligenza artificiale nell'industria dei media e nel giornalismo? Pensi che l'IA stia già plasmando il giornalismo moderno?
Penso che soprattutto aiuterà a rendere più efficienti determinati processi: cose come individuare errori grammaticali e produrre trascrizioni/sommari di alta qualità. Penso che ci troviamo ancora molto lontano da un punto in cui l'IA possa produrre autonomamente giornalismo di alta qualità; praticamente tutte le media company che hanno provato a produrre articoli generati in questo modo hanno ottenuto solo pessimi risultati.
Il tuo primo post su Substack risale al 13 maggio 2019. Oltre quattro anni dopo, e dopo aver inviato oltre 500 edizioni, qual è la tua valutazione di questo progetto?
È davvero difficile costruire una media company, soprattutto se quando lo fai sei da solo. Come dico sempre, i media sono un business terribile ma tante persone ci provano ugualmente perché è molto divertente. Mi sento sempre molto frustrato da quanto lentamente stia crescendo la mia attività, ma gli ultimi tre anni sono stati i migliori in termini di soddisfazione professionale.
Di cosa sei più orgoglioso? Ci sono cose che faresti diversamente oggi?
Ci sono così tante cose che farei diversamente; potrei trascorrere le prossime tre ore raccontandotele tutte. La cosa di cui sono più orgoglioso è quando professionisti che hanno molto più successo di me mi dicono continuamente che amano la mia newsletter e il mio podcast. Questo mi fa capire che sto facendo qualcosa di buono, nel modo gusto.
Coltivare il proprio personal brand è diventato essenziale per i professionisti, a prescindere dal settore in cui operano. Come hai sviluppato la tua impronta personale attraverso la newsletter e il podcast? Quali consigli daresti agli aspiranti giornalisti?
Direi che non è mai troppo presto per avviare una newsletter in modo da aggregare un proprio pubblico e portarlo con sé ovunque si vada. Troppi giornalisti si sono innamorati delle piattaforme social, ma da un momento all’altro queste potrebbero tagliare la possibilità di distribuzione dei loro contenuti. Ed è il motivo per cui l'intero settore dei media qui ha vissuto con un certo panico il crollo di Twitter, vedendo il valore del proprio brand deteriorarsi in tempo reale.
Simon, grazie davvero per tutte queste interessanti risposte... non ti voglio rubare troppo tempo ma ho qualche altra domanda, un po' più personale, con cui mi piacerebbe chiudere questa intervista.
Qual è la tua "routine mattutina" per rimanere informato? In altre parole, a cosa non rinunceresti mai riguardo a giornali, creators, pagine social, giornalisti, qualsiasi fonte... tutto è ammesso!
Fondamentalmente tratto la mia posta elettronica come una specie di feed RSS, quindi mi sono iscritto a una serie di newsletter pertinenti ai temi che tratto. Passo le prime uno o due ore di ogni giornata aprendo queste newsletter e salvando gli articoli rilevanti su Instapaper. Poi trascorro il tempo rimanente prima del pranzo leggendo il maggior numero possibile di notizie del settore. Solitamente non lavoro sui miei longform fino al dopo pranzo: le mie mattinate sono principalmente dedicate alla raccolta di informazioni.
Qual è l'obiettivo che assolutamente ti prefiggi di raggiungere nei prossimi due anni?
Il mio primo obiettivo importante è raggiungere ricavi annuali a sei cifre ottenendoli direttamente dalla mia newsletter e dal mio podcast. Mi piacerebbe davvero raggiungere questo obiettivo al più tardi entro giugno 2024 (ma spero prima).
Dopo di che, devo davvero capire dove voglio portare questa cosa... voglio mantenerla come un'attività che ruota intorno sempre al mio personal brand oppure voglio provare a trasformarla verso una media company più tradizionale?
Che consiglio daresti al te stesso del passato?
A volte penso di tornare indietro nel tempo al 2003, quando ho iniziato a fare blogging all'università. Probabilmente direi al mio io più giovane di scegliere un tema e pubblicare qualcosa su di esso ogni singolo giorno feriale. Credo davvero che la costanza sia responsabile almeno del 50% del successo nei media.
Grazie Simon, in bocca al lupo per i tuoi obiettivi e… a presto per una prossima chiacchierata!
Chiudo riepilogando alcuni dei link citati:
The Business of Content, il podcast di Simon Owens
Instapaper, servizio di social bookmarking che consente di salvare i contenuti e renderli fruibili per la lettura in un secondo momento e su un dispositivi diversi
Chi è Johnny Harris e cosa ha combinato
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